Ribellione al femminile

Per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne cui ANCIS aderisce, il nostro Vice Presidente Valeria Lupidi ha prodotto un intenso elaborato che intendiamo proporre come lettura di riflessione non solo per questa giornata, ma per qualsiasi giorno dell’anno.

 

Il 25 novembre è la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ricorrenza istituita il 17 dicembre 1999 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La data non è casuale: in quel giorno del 1960 furono uccise le tre sorelle Mirabal, attiviste politiche della repubblica Dominicana. Le tre donne, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in carcere furono bloccate sulla strada da agenti del servizio di informazione militare che le portarono in un luogo nascosto dove furono torturate, stuprate, massacrate a colpi di bastone e strangolate.

L’istituzione di una giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne è sicuramente la presa di coscienza di un problema che esiste da quando esiste l’essere umano, ma che il vivere in società ha accentuato, complici alcune culture che si ostinano a ritenere la donna in essere inferiore.  D’altronde perché meravigliarsi se la religione, la storia, l’arte hanno evidenziato nel corso dei secoli questa inferiorità che conduce automaticamente al diventare vittima di violenza.

Partiamo dalla religione: Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli soggette ai loro mariti in tutto. (Lettera di San Paolo agli Efesini) e ancora: Alla donna disse: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà (Genesi 3, 16). Dalla donna ha avuto inizio il peccato, per causa sua tutti moriranno. Non dare all’acqua un’uscita né libertà di parlare a una donna malvagia (Siracide 25, 24) .

Con questi presupposti (e nella religione musulmana le cosa vanno anche peggio, come peraltro in quella induista) non c’è da meravigliarsi se, nei secoli, la condizione femminile è sempre stata quantomeno di sudditanza e se gli uomini si sono sentiti in diritto di perpetrare nei confronti delle donne ogni tipo di violenza.

Facendo un salto di qualche secolo (senza però dimenticare il periodo in cui l’Inquisizione bruciava le donne perché ritenute streghe, o quando, durante l’industrializzazione, donne e bambini venivano retribuiti meno degli uomini a parità di lavoro solo perché considerati “inferiori”), anche il nostro “civilissimo Paese” solo a fine ottocento ha consentito l’accessibilità per le donne agli studi superiori e la prima laureata si è avuta nel 1877.

Nel 1919 le donne hanno ottenuto la piena disponibilità dei propri guadagni e dei beni personali (fino ad allora gestiti dai mariti). Nello stesso anno è stata abolita l’autorizzazione maritale (ovvero per compiere qualsiasi atto la donna doveva avere l’autorizzazione del marito).

Il diritto di voto per le donne è stato consentito solo nel 1945. La riforma del diritto di famiglia, che ha riconosciuto il ruolo della donna all’interno della famiglia, è del 1975. L’art. 131 del Codice Civile del Regno d’Italia (rimasto immutato per 110 anni) recitava “il marito è il capo della famiglia….. la moglie è obbligata ad accompagnarlo ovunque…”, e l’art. 150 prevedeva che “non è ammessa l’azione di separazione per l’adulterio del marito, se non quando egli mantenga la concubina in casa…”.

Con questi antecedenti è quasi automatico che il ruolo e la dignità delle donne siano ancora calpestati e che tante siano costrette a subire violenza (ogni tre giorni mediamente viene commesso un femminicidio).

Le violenze subite non sono solo fisiche (le più evidenti), esistono quelle sessuali (che oltre l’atto in se stesso comprendono anche i matrimoni forzati, le avances non desiderate, impedire l’uso di contraccettivi per evitare gravidanze indesiderate, aborti forzati, mutilazioni genitali, prostituzione forzata, traffico di persone); la violenza economica (impedire alla donna l’accesso alle risorse economiche o al lavoro); la violenza spirituale (atteggiamenti volti a svilire i valori soprattutto religiosi); la violenza psicologica (terrorizzare con minacce e ricatti); la violenza domestica (perpetrata all’interno delle mura domestiche).

E queste violenze possono essere praticate in ogni fase della vita delle donne: in quella prenatale con gli aborti selettivi; nella fase dell’infanzia con infanticidi, maltrattamenti, violenza assistita, abusi; nella preadolescenza con matrimoni coatti, mutilazioni genitali, violenza sessuale, prostituzione; nella fase adulta con tutti quegli atti e atteggiamenti che abbiamo già elencato.

Se la situazione è grave nei paesi “civilizzati”, in altre parti del mondo è veramente drammatica: in Pakistan per ottenere il massimo della pena la donna che denuncia il suo stupratore deve presentare quattro testimoni maschi e non può testimoniare lei stessa; inoltre, la vittima che non riesce a dimostrare il reato viene incriminata per attività sessuale illecita, incarcerata o frustata pubblicamente.

Troppe sono le violenze di ogni tipo che ancora oggi le donne subiscono e non serve ricordarsene solo il 25 novembre per poi, il giorno dopo, far tornare tutto come prima. Il significato di questa giornata dovrebbe essere tenuto a mente tutto l’anno perché sia un monito contro ogni forma di violenza sul genere femminile ed un passo avanti contro l’eliminazione di ogni forma di sopruso.

Per fare ciò non basta parlarne e non è assolutamente sufficiente cercare di “rieducare” gli uomini violenti. Sono le donne che devono essere adeguatamente “educate”.

Il messaggio da gridare forte non è per una legislazione più dura (il Codice rosso ad un anno di distanza dalla sua emanazione non ha dato grossi risultati) o per una cultura che riconosca la parità di genere. Le donne devono capire che nessuno si può permettere di usare su di loro violenza per il solo fatto che appartengono al genere femminile. Basta giustificare i mariti e i compagni per i loro gesti di sopraffazione (mi mena perché mi vuole bene!). Bisogna imparare a reagire, a non sopportare, a non tollerare neanche il più piccolo tentativo di supremazia e a reagire adeguatamente.

Fino a che non si “sbloccheranno” le donne non sarà possibile trovare rimedio alla piaga della violenza. Non sono sufficienti le tante associazioni che sono sorte per tutelare ed aiutare le donne (chi ci si è rivolto spesso dichiara che non lo rifarebbe perché il calvario proposto è quasi peggio della situazione familiare).

Le forze dell’ordine che dovrebbero portare il primo aiuto e supporto alle vittime non sono adeguatamente preparate (location inadeguate per sporgere querela, operatori spesso privi di adeguata sensibilità e formazione). Le istituzioni sono spessissimo assenti o intervengono con un colpevole ritardo, quando ormai è troppo tardi.

Allora non resta che agire sulle donne per renderle più forti, più assertive e capaci di ribellarsi e non sopportare. Questo è un messaggio molto forte, ma non ipocrita.

Domani quando la giornata contro la violenza sulle donne sarà passata calerà di nuovo il sipario su tutte le tragedie che si consumano e si consumeranno. Si piangeranno nuove vittime. Ma la società continuerà a cercare soluzioni che non portano a nulla.

Mi piace concludere con una frase che rimando a tutte le donne che vorranno leggere questo articolo perché possano riflettere: il difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi della condizione in cui si è!

A cura di Valeria Lupidi – Vice Presidente ANCIS – Associazione Nazionale Consulenti Intelligence & Security