IL RITORNO DELL’IMPERO OTTOMANO – approfondimento

L’Impero Ottomano durò dal 1299 al 1922. La Storia non si ripete in modo perfettamente identico, tuttavia ripercorre strade già abbondantemente conosciute. Ci vorrà del tempo per comprendere le dinamiche del golpe in Turchia, ma qualche riflessione è comunque doverosa. L’Islam è indubbiamente un elemento di contrapposizione con l’Occidente, cosa che si nota di riflesso anche su aree in Medio Oriente costantemente destabilizzate.

Gli USA hanno da tempo auspicato un intensificazione del percorso democratico in Turchia. “Stiamo lavorando per organizzare una telefonata tra il presidente Trump e il presidente turco Erdogan per riaffermare i nostri forti legami”. Lo disse la portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders in merito all’esito delle presidenziali in Turchia. “Incoraggiamo Ankara – ha aggiunto – a prendere le misure per rafforzare la democrazia e continuare i progressi verso la soluzione delle questioni nelle relazioni bilaterali”.
L’Unione Europea, del resto non è idonea a poter proporre alcuna soluzione stante il perenne conflitto di interessi interno tra le varie Cancellerie. Quindi non è un paradosso quello che stiamo vivendo in questo momento. Erdogan ha riaffermato una leadership islamica ad uso interno, ha bonificato i rapporti con Israele e con la Russia, ha realizzato il grande sogno di ogni leader turco: ristabilire e far rinascere l’Impero ottomano, leggermente rivisitato in chiave moderna.
In questa situazione diventa secondaria pertanto anche l’adesione alla NATO; la posta in gioco è piuttosto ristabilire un’area di influenza, anche militare, in tutto il Medio Oriente, alla luce della naturale sconfitta di Daesh, delle difficoltà che l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi hanno in campo finanziario con le ultime politiche petrolifere, per il conflitto in Yemen e per il contenimento dell’influenza iraniana. L’Occidente, pertanto, in una tale situazione d’insieme, sarà costretto nel tempo ad accettare alcune richieste turche, in quanto non disposto a rischiare di essere sopraffatto da un qualcosa che appare (ed è) ostile al suo stile di vita, oltre che progressivamente lontano dai propri interessi economici. Per gli occidentali quindi sarà sempre meglio (almeno per un determinato tempo…) trattare con un leader autoritario ai confini dell’Europa, capace di limitare le suddette minacce, piuttosto che combatterlo.
Nei fatti Erdogan ha già “battuto cassa” in zona UE, lucrando un prezzo piuttosto alto, in cambio di una determinata politica contenitiva sui profughi.
A cura di di Davide Sallustio

Saggista storico, studioso di Geopolitica e Relazioni a Internazionali
Socio ordinario della Società Italiana di Studi Militari (SISM)
Socio simpatizzante ANCIS


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IL CASO LIBIA E LE ONG – approfondimento

La Libia e l’immigrazione sono temi di cui si parlerà a lungo. Le polemiche sull’attività della Guardia costiera libica, sugli accordi stipulati dall’Italia e sulle oggettive nefandezze perpetrate in quel Paese, si inseriscono in dibattiti politici nazionali e internazionali. Recentissimo è l’attacco particolarmente duro all’Unione europea ed all’Italia dall’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite che ha usato frasi quali: “patto disumano”, “oltraggio alla coscienza dell’umanità”, “inimmaginabile orrore patito dagli immigrati”. In particolare è stata giudicata disumana la politica italiana, sostenuta dall’Europa, di consentire alla Guardia costiera libica di riportate a terra chi cerca di fuggire pur sapendo che va a finire in campi invivibili.


Per contro Avramopoulos, l’alto commissario europeo per la politica estera, sostiene che l’Europa sta uscendo gradualmente dalla crisi migratoria perché gli arrivi verso il continente sono scesi del 65 per cento dall’anno scorso (31,2 per cento verso l’Italia secondo i dati del Viminale).
Altro dato: il dipartimento libico per la lotta all’immigrazione illegale parla di un aumento dei detenuti da settembre ad oggi da 7.000 a 20.000 dopo che in agosto Italia e Unione Europea hanno concluso l’accordo per addestrare la guardia costiera libica ad intercettare le imbarcazioni ed a riportare i migranti in Libia, grande punto di transito.
Quindi se gli arrivi sono drasticamente calati, in parallelo cresce la preoccupazione per gli abusi e il sovraffollamento dei luoghi di detenzione. In quelli di Tripoli gli osservatori dell’Onu hanno raccolto racconti di pestaggi, torture e violenze sessuali. In questo panorama così complicato si innesca un altro attore: le Ong. Infatti la decisione della Libia di istituire una propria area Sar (ricerca e soccorso) in mare ha rotto il giocoliere delle Ong che vogliono portare tutti i migranti in Italia. A rovinare quella che qualcuno ha definito la “festa umanitaria” non è stato però tanto il Codice di comportamento voluto dal ministro Marco Minniti e approvato dall’Ue e neanche le indagini delle procure di Catania e Trapani, ma appunto l’annuncio della Libia di voler istituire una propria zona Sar per gestire i salvataggi al limite delle acque libiche, mettendo all’angolo le varie Msf, Save the
children e Moas.
Tutto nasce quando in molti cominciarono a chiedersi per quale motivo le Ong potessero stazionare così vicine alla costa libica, recuperare barconi carichi di immigrati a poche ore di navigazione da Tripoli e traghettarli in Italia anzichè nel vicino porto di Zuara. L’articolo 9 della Convenzione Unclos stabilisce che ogni Stato costiero istituisca una zona Sar di propria pertinenza, un’area che si estende per circa 100 miglia nautiche oltre le acque territoriali. Alcuni paesi aderiscono e rispettano tale convenzione(come l’Italia), a Tripoli invece, fino a poco tempo fa, l’assenza di un’autorità stabile aveva di fatto annullato la capacità del Paese di pattugliare l’area e così le Ong intercettavano un migrante poco fuori (se non all’interno) le acque territoriali libiche e chiamavano a Roma il centro di
coordinamento del soccorso marino, il quale, non poteva far altro che indirizzare le navi umanitarie verso i porti siciliani o a La Valletta.
Recentemente, a seguito degli accordi proposti dall’Italia, la Libia ha istituito ufficialmente una zona di ricerca e soccorso (Sar) nella quale nessuna nave straniera ha diritto di accedere salvo richiesta espressa dalle autorità libiche. Conseguenza di ciò è che se la nave dell’Ong dovesse recuperare migranti all’interno della zona Sar di competenza libica sarebbe costretta a consegnarli alla Guardia costiera africana che li porterebbe a Tripoli nei centri per immigrati.
Questo per le Ong non è accettabile visto che vorrebbero sbarcare tutti i migranti in Italia (come da loro più volte dichiarato). Questo perché a ben vedere il loro obiettivo non è tanto il salvataggio, assolutamente doveroso, quanto l’apertura di canali umanitari per l’immigrazione. Scelta questa però riservata agli Stati. In questo scenario si inserisce il nuovo governo italiano: come noto il ministro Salvini ha dato lo stop all’approdo nei porti italiano a organizzazioni non governative, mercantili e navi militari straniere. Per il ministro dell’Interno: “L’elemosina Bruxelles la può tenere per lei, noi vogliamo chiudere i flussi in arrivo per smaltire l’arretrato di centinaia di migliaia di presenze, non chiediamo soldi ma dignità e ce la stiamo riprendendo con le nostre mani”.
Ed in effetti sembrerebbe che sul tavolo del Viminale sia già pronto il “contropiano” che potrebbe veder la luce già a fine estate, ovvero un decreto per cancellare “la protezione umanitaria istituita da Prodi” nel 1998, “rispedire nei paesi d’origine gli stranieri detenuti in Italia” e aprire un Centro di identificazione ed espulsione in ogni regione. Due posizioni diametralmente contrapposte. Da una parte Bruxelles che si propone di dare pieno sostegno finanziario per coprire le infrastrutture e i costi operativi dei centri con una “offertà di 6mila euro a migrante per gli Stati che accettano di accogliere i richiedenti asilo”. Dall’altra Salvini che respinge al mittente il piano elaborato dalla Commissione europea.
Secondo l’Huffington Post, verrà steso un decreto per abolire la protezione umanitaria. Si tratta di un particolare permesso di soggiorno istituito dall’ex premier Romano Prodi di cui gli immigrati possono beneficiare soltanto in Italia. Nel resto del Vecchio Continente nessun Paese lo ha adottato. Il decreto prevederà anche il rimpatrio degli immigrati detenuti in Italia che andranno a scontare la pena nei loro Paesi di origine. Una mossa che avrà un duplice effetto: l’immediata riduzione del sovraffollamento delle carceri italiane e il drastico taglio dei costi per l’erario pubblico. Dopo aver ridotto drasticamente gli sbarchi e fatto sparire le Ong dal Mar Mediterraneo, Salvini punta dunque a rimandare a casa tutti quegli immigrati che non hanno diritto di stare.
A cura del Vice Presidente ANCIS