INTELLIGENCE E STORIA – approfondimento

Nell’arco della Storia dell’uomo innumerevoli volte si è dibattuto su quanto “l’arma” dell’informazione potesse stabilire la vincita o la sconfitta di un popolo in una determinata guerra. I più hanno senza dubbio asserito che l’attività di intelligence (spionaggio e controspionaggio) potesse aiutare a conseguire un risultato finale soddisfacente dal punto di vista militare, ma non fino al punto di fare realmente la differenza. Eppure, diverse sono le dimostrazioni a beneficio della tesi che vede l’attività di raccolta ed analisi delle informazioni come un elemento di primaria importanza per poter stravolgere a proprio favore le sorti di una battaglia, e finanche di un’intera guerra.
Nell’antichità alcuni uomini appositamente addestrati venivano utilizzati per riportare preziose informazioni al committente (ad esempio gli Hyksos nell’antico Egitto, o Annibale che nel III secolo a.C. utilizzò suoi “esploratori” per conoscere la strada dell’Italia settentrionale più adatta a far passare con maggiore facilità il proprio esercito, composto sia da cavalleria semplice, che da truppe con elefanti) o per intimorire l’avversario tramite notizie “ad hoc”, prima ancora dello scontro diretto (Gengis Khan nel XIII secolo utilizzò proprio tale espediente). Una cosa che accomunava la raccolta di informazioni fatta in quelle epoche, con quella condotta ai giorni nostri, è il metodo relativo alla sistematicità della raccolta stessa, con citazione di fonti e altri dettagli utili a testimoniare l’affidabilità delle notizie riportate. Sun Tzu nel IV secolo a.C. fu il primo in assoluto a sostenere efficacemente che “Ciò che consente al sovrano assennato e al buon generale di colpire e conquistare e conseguire gli scopi è la preconoscenza”, ovvero che senza un certo impegno nel prevedere sia le mosse dell’avversario, che lo scenario bellico che si potrebbe andare a delineare, non si può essere certi di vincere le battaglie.
Sun Tzu
La sua famigerata opera intitolata l’ “Arte della Guerra” individua con estrema precisione analitica e mediante una raccolta minuziosamente ordinata i principi cardine della raccolta di informazioni militari. Altra opera antica di notevole importanza sull’argomento possiamo reperirla nelle “Istituzioni Militari dei Romani” di Vegezio (V secolo a.C.) in cui vengono enunciati principi sull’importanza delle notizie relative all’ambiente in cui i soldati avrebbero dovuto muoversi, oltre che ai percorsi di marcia più idoneii. Mitridate, poi, fu un fulgido esempio di condottiero ed esperto di intelligence, che amò condurre la raccolta di preziose informazioni militari in prima persona, vagando senza alcun mezzo di locomozione per l’Asia Minore, e diventando una delle più serie minacce per i Romani (tra i quali, invece, va ricordato con grande onore un ufficiale romano di qualche secolo successivo, il Generale Svetonio Paulino, che nel 62 a.C., grazie alla raccolta di notizie recuperate verbalmente dalle sue spie tra gli abitanti locali, con soli 10.000 uomini riuscì a sconfiggere ben 230.000 britanni).
Dopo qualche cenno di Storia antica, approdiamo dunque alle campagne militari medievali, nelle quali solitamente si assisteva all’impiego della fanteria classica, con soldati a cavallo, e con schemi bellici tradizionalmente ben noti ad ogni esercito. Questo stato di cose faceva si che la raccolta di informazioni fosse decisamente meno importante che in precedenza, ed assai meno di quanto lo sarebbe stata dalla seconda metà Rinascimento in poi (intorno al XVII secolo, in concomitanza della “rivoluzione della polvere da sparo”, iniziò un vero e proprio reclutamento di agenti e osservatori, con il contemporaneo utilizzo di precisi codici volti ad evitare che il nemico potesse decifrare le delicate informazioni sulla conoscenza della costellazione di Stati e città-Stato che erano appena sorte).
Un altro elemento che nel Medioevo faceva propendere meno per lo sviluppo di un’ordinata attività di spionaggio, era la limitatezza delle aree di estensione dei conflitti dal punto di vista geografico, e pertanto anche la scarsa influenza di notizie specifiche su queste. Eppure, durante le Crociate, molti furono gli Ordini religiosi-militari di matrice cristiana che utilizzarono a proprio favore fonti utili all’acquisizione di informazioni strategiche, così come, proprio in tale contesto storico, si potette assistere al primo esempio di depistaggio, di manipolazione dell’informazione per il raggiungimento di un certo fine, del primissimo autentico “debunking” pubblico.
Il riferimento specifico di tale accadimenti lo troviamo nella vicenda del famoso processo Templare; l’Ordine del Tempio, era nato nell’età della Prima Crociata per difendere Gerusalemme ed i luoghi santi di Cristo, esattamente come molti altri Ordini cavalleresco – religiosi (tra i quali è doveroso ricordare quelli più gloriosi come il Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, poi divenuto di Cipro, Rodi e Malta, l’Ordine del Santo Sepolcro, l’Ordine Teutonico e quello di San Lazzaro).
L’Ordine Templare, costituito da monaci guerrieri fedeli unicamente al Papa, in pochissimo tempo dalla sua fondazione riuscì ad accumulare una quantità di beni e ricchezze veramente impressionante, con annesse speciali immunità ed esenzioni da tributi, fino allo scioglimento dell’Ordine stesso.

Sulla fine di questa importante compagine cavalleresca qualche studioso ritiene che i monaci furono sottoposti a torture e che queste funzionarono a tal punto da estorcere vere e proprie confessioni su presunte eresie consumate dagli stessi, mentre diversi altri storici sostengono che i Templari si discostarono realmente dalla dottrina originaria, e che non ci furono pressioni di alcun tipo in merito alle deposizioni rilasciate. Quasi certamente i membri dell’Ordine, accanto alla preghiera e all’arte del combattimento, iniziarono una fiorente attività diplomatica e bancaria su tutta l’aria del Mediterraneo, e ancora oggi è assai discusso il fatto che tale ascesa economica possa, o meno, essere stata mal vista dal re di Francia Filippo IV detto il Bello.

Una vicenda che si è tramandata fino a noi come una vera e propria leggenda è l’arresto dei cavalieri Templari, che si dice abbia visto luce venerdì 13 ottobre 1307, con la cattura di centinaia di essi (da qui è derivata la scaramanzia ancora attuale sulla data 13 associata la giorno del venerdì). Coloro che sostengono la tesi “complottista” ritengono addirittura che il re di Francia si fosse preventivamente provvisto di una fitta rete di infiltrati capaci di condurre perfettamente la vita dei monaci guerrieri (quindi prendendo anche i tre voti di obbedienza, castità e povertà) ed in grado di riuscire a raccogliere dall’interno accuse contro di essi, di un manipolo di spie sotto copertura capaci di ottenere un ampio dossier sulle debolezze, sui segreti, sui vizi e sulle contaminazioni scaturite da dottrine gnostiche orientali.
Le registrazioni di questi dettagli, amplificate in modo congruo a raggiungere l’obiettivo finale, furono date agli avvocati reali di Filippo il Bello, che riuscì a screditarli in poco tempo, fino a poter procedere alla loro cattura. Qualcuno sostiene addirittura che sia stata volutamente diffusa una lettera firmata da Jacques de Molay, il loro Gran Maestro, munita della “Bulla Magistralis” (cioè il suo personale sigillo d’argento): il documento, di cui comunque non rimane (volutamente?) traccia materiale, forte anche del voto di obbedienza totale dei monaci, ordinava a tutti i Templari di confessare le colpe a loro addossate nell’atto d’accusa. Del resto, vi è da dire che anche i frati guerrieri durante la prigionia usarono con molta probabilità dei codici segreti per confrontarsi su come reagire all’attacco, espedienti tipici dei migliori scenari di spionaggio, come ad esempio quello di far passare tra le celle delle piccole tavolette di legno cosparse interamente di cera: non appena un cavaliere leggeva il messaggio inciso in modo quasi impercettibile, doveva poi cancellarlo rapidamente, raschiando la cerulea sostanza. 
Tali notizie, però, non rientrano nella verità storica documentata, bensì nelle semplici ipotesi, seppur intrise di mistero e fascino, di qualche studio sull’argomento.
A parte questi affascinanti esempi di attività di Intelligence, il Medioevo fu un’epoca piuttosto scarna di altri esempi degni di nota. Fino al 1550, quindi, i fenomeni evolutivi sembrano aver avuto un’incidenza relativamente modesta sulle cosiddette “operazioni speciali”, ma è oltremodo provato che quest’ultime, fra il 1550 ed il 1914, subirono profondissime trasformazioni in termini di metodo, obiettivi, diffusione ed impatto socio-culturale.
A cura di Davide Sallustio
Saggista storico, studioso di Geopolitica e Relazioni Internazionali
Socio ordinario della Società Italiana di studi Militari SISM
Socio simpatizzante ANCIS
Fonti bibliografiche:
– Yuval Noah Harari (traduttrice: Rossana Macuz Varrocchi), Operazioni speciali al tempo della cavalleria 1100-1550, Collana: Le guerre, n. 49, Libreria Editrice Goriziana, 2008;
– Frale Barbara (storica e specialista di documenti antichi in servizio presso l’Archivio Segreto Vaticano), articolo pubblicato sul sito www.sicurezzanazionale.gov.itil 06-11-2015;
– Storia ed evoluzione dell’Intelligence (I conflitti ed il bisogno di informazioni), estratto dal sito www.difesa.it

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PARLIAMO DI SICUREZZA – approfondimento

Fornire una definizione univoca della sicurezza non è semplice. Etimologicamente la parola deriva dal latino “sine cura”: senza preoccupazione e può quindi intendersi come la “conoscenza che l’evoluzione di un sistema non produrrà stati indesiderati” ovvero: quello che si fa non produrrà danni. Il presupposto della conoscenza è un elemento fondamentale in quanto solo una approfondita conoscenza può garantire la valutazione oggettiva della sicurezza.
La sicurezza totale si ha in assenza di pericoli anche se si tratta di un concetto poco realistico in quanto, anche se l’applicazione di norme di sicurezza rendono meno probabile eventi dannosi o incidenti, il rischio non è eliminabile completamente.

Fondamentale diventa allora comprendere la differenza tra rischio e pericolo. Il pericolo si definisce come la probabilità di danno, possibilità di evento rischioso; il rischio invece è la potenzialità che un’azione o un’attività scelta (includendo la scelta di non agire) porti ad una perdita o a un evento indesiderabile. La nozione implica che una scelta influenzi il risultato. Per rischio possiamo indicare anche l’eliminazione di possibili scostamenti dai risultati attesi per effetto di eventi di incerta manifestazione, interno o esterni ad un sistema. In questa definizione il rischio non ha solo un’accezione negativa (downside risk), ma anche una positiva (upside risk).
Tornando al tema della sicurezza possiamo allora dire che la sicurezza totale si ha in assenza di pericoli, ma questo concetto nella realtà è difficilmente traducibile, anche se l’applicazione delle norme di sicurezza rende più difficile il verificarsi di eventi dannosi.
Nel termine italiano “sicurezza” rientrano due distinti concetti che in altre lingue sono espressi da parole differenti. La parola inglese security corrisponde alla sicurezza intesa come protezione da atti intenzionali che potrebbero ledere persone o cose, mentre il termine safety riguarda la sicurezza delle persone intesa come loro incolumità.
I campi in cui la sicurezza è un obiettivo primario sono numerosi, così come variegati sono i sistemi per raggiungere un grado di sicurezza accettabile. Praticamente ogni settore ha delle implicazioni relative alla sicurezza, specie tutto ciò che è legato alla vita moderna: comunicazioni, trasporti, lavoro, informatica ecc.
Per migliorare la sicurezza sono allora necessarie delle azioni preventive ed organizzative adeguate che tengano conto di una attenta analisi dei rischi e di specifica formazione delle persone addette.
E proprio nella convinzione che la formazione, e quindi la conoscenza, siano un elemento imprescindibile, nel nostro sito affronteremo periodicamente una specifica situazione connessa alla sicurezza sperando di rendere un po’ più “sicure” le nostre vite e la nostra società.

A cura del Vice Presidente ANCIS
Valeria Lupidi


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